«Su queste cose non c'è un mio scritto, né ci sarà mai. In effetti la conoscenza della verità non è affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma, dopo molte discussioni fatte su questi temi, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende dallo scoccare di una scintilla, essa nasce dall'anima e da se stessa si alimenta» (Platone, Lettera VII, 341 C 5 - D 2)
In accordo con quanto ha scritto il filosofo contemporaneo Alexandre Koyrè "tutta la vita filosofica di Platone è stata determinata da un avvenimento eminentemente politico, la condanna  a morte di Socrate", si può affermare che la filosofia platonica è nata dalla riflessione politica, ma per comprendere il pensiero filosofico che ne deriva è necessario distinguere la "riflessione sulla politica" dall'"attività politica". Platone nella Lettera VII del suo epistolario spiega come la rinuncia alla politica attiva segna la scelta per la filosofia, intesa come impegno "civile". La riflessione sulla politica diventa riflessione sul concetto di giustizia, e dalla riflessione su questo concetto sorge l'idea di filosofia intesa come processo di crescita dell'Uomo come membro organicamente appartenente al mondo. Per risolvere il problema della giustizia, ossia di ciò che è giusto non per noi relativamente ad un dato contesto, ma in sè, Platone deve prima affrontare e risolvere il più generale problema della conoscenza. Lo stesso Socrate aveva legato la soluzione del problema dell'agire a quella del conoscere, affermando che " la virtù è la scienza del bene" e che " nessuno fa il male sapendo che è il male, ma per ignoranza". Dunque basandosi su queste considerazioni Platone svilupperà la sua dottrina della conoscenza: la teoria delle idee.
Platone combatte contro l'opinione che sostiene che la ricerca della conoscenza sia impossibile sulla base di due assunti: 1. se non si conosce ciò che si cerca, qualora lo si sia trovato, non lo si riconoscerà come l'obiettivo da raggiungere; 2. se si conosce già quel che si cerca, la ricerca non ha senso. Il problema viene superato da Platone partendo dal presupposto che l'oggetto della ricerca è solo parzialmente sconosciuto all'uomo, il quale, dopo averlo contemplato prima della nascita, lo ha in qualche modo "dimenticato" nel fondo della sua anima. Tale dottrina si rifà alla credenza secondo cui quando il corpo muore l'anima, essendo immortale, trasmigra in un altro corpo. La meta del suo cercare è dunque un sapere già presente ma nascosto in lui, che la filosofia dovrà risvegliare con la reminiscenza o «anamnesi» (anàmnesis), concetto su cui Platone fonda il convincimento che l'apprendere è un ricordare. Platone sfrutta il mito della trasmigrazione dell’anima, fondendolo con l'assunto fondamentale che esistano delle “Idee”, che albergano nel mondo soprasensibile, aventi caratteristiche opposte agli enti fenomenici: sono incorruttibili, ingenerate, eterne, non soggette a mutamento.
L’IDEA PLATONICA E’ DUNQUE IL VERO OGGETTO DELLA CONOSCENZA.
Rappresenta non sono soltanto il fondamento della conoscenza della realtà, ossia la causa che ci permette di pensare il mondo, bensì costituisce anche il fondamento dell’essere, essendo il motivo che fa essere il mondo. Le Idee-Archetipi rappresentano l'eterno Vero a cui si contrappone la dimensione vana e transitoria dei fenomeni sensibili. Come è spiegato nel Fedro, dopo la morte le anime diventano simili a cocchi alati che procedono in schiere dietro ai carri degli dèi: in questa loro processione alcune riescono, più distintamente di altre, a scorgere le Idee che appaiono attraverso uno squarcio tra le nuvole, diaframma obbligato tra il mondo sensibile e quello soprasensibile. Quando le anime precipitano nei corpi, reincarnandosi, dimenticano la loro visione delle idee e, prigioniere dei sensi, sono portate a identificare la realtà col mondo sensibile. L'opera del filosofo, che ha saputo vedere le idee meglio degli altri, è quella di riportare all'anima la memoria del mondo delle idee dialogando con l'anima e persuadendola della verità.
La dottrina dell'apprendere come ricordare riconduce immediatamente alla cura dell'anima professata da Socrate: la conoscenza è, di fatto, un conoscere meglio se stessi, riportando alla luce dell'intelletto ciò che l'anima ha dimenticato nel momento della reincarnazione. Una conseguenza della reminiscenza è l'innatismo della conoscenza: tutto il sapere è già presente, in forma latente, nella nostra anima. A tal proposito i sensi svolgono una funzione importante poiché offrono lo spunto per aiutarci a ridestarla. L'anima possiede delle predisposizioni innate al conoscere che non sono derivate dai sensi, ma che a contatto con l'esperienza risvegliano il nostro sapere latente e ci fanno rammentare la verità. Quando conosce l'anima non deve fissare la sua attenzione sulle immagini percepite dai sensi, che possono trarre in inganno, ma sulla forma vera dell'oggetto, che giace al fondo di essa e deve essere fatta affiorare alla consapevolezza. La mente non deve subordinarsi ai sensi ma servirsi piuttosto di essi come docili strumenti.
ESSA PUO’ ESSERE TRADOTTA CON IL CONCETTO DI «ARCHETIPO».
Chi prende la realtà sensibile come l'unica realtà è simile a chi confonde l'oggetto con la sua immagine, ossia è ancora vittima dell'ignoranza. L'esperienza serve però solo da stimolo; la vera conoscenza deve essere fondata universalmente sulla facoltà della conoscenza intuitiva (nòesis) che ha come oggetto le “Idee”, e su di essa deve poggiare ogni tecnica particolare. L'errore contro cui Platone combatte consiste nel basare la conoscenza sulla sensazione. Al contrario, solo l'anima, e non i sensi, può conoscere l'aspetto "vero" di ogni realtà. La sensazione non è in grado di darci l'essere delle cose ma solo l'apparenza mutevole. Se tutta la conoscenza fosse costituita di sensazioni o derivasse da esse, le opinioni e i giudizi che formuliamo sulle cose sarebbero  sempre particolari non avrebbero certezza e stabilità che pretendiamo dalla scienza. Si giunge così alla distinzione tra opinione -doxa sofistica che è sempre empirica e particolare e scienza intesa come episteme-conoscenza universale. L'errore sta quindi nel basare la conoscenza sulla sensazione. La sensazione comprende due diversi aspetti: il processo fisiologico con cui l'organo di senso ci mette in contatto con le cose e il processo psicologico con cui il soggetto interpreta lo stimolo. Se vogliamo penetrare la natura del conoscere non è ai sensi che dobbiamo rivolgersi ma all'anima: indagando la nostra anima, costringendola a guardare dentro di sè con il logos e non fuori di sè attraverso i sensi, potremo trovare in essa la forma, l'aspetto vero e dimenticato delle cose. Di fatto, è impossibile recuperare completamente la conoscenza del mondo delle Idee. La conoscenza perfetta di queste è propria solo degli dèi, che le osservano sempre. La conoscenza umana, nella sua forma migliore, è sempre filo-sofia, ossia amore del sapere, inesausta ricerca della verità.
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«Su queste cose non c'è un mio scritto, né ci sarà mai. In effetti la conoscenza della verità non è affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma, dopo molte discussioni fatte su questi temi, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende dallo scoccare di una scintilla, essa nasce dall'anima e da se stessa si alimenta» (Platone, Lettera VII, 341 C 5 - D 2)
In accordo con quanto ha scritto il filosofo contemporaneo Alexandre Koyrè "tutta la vita filosofica di Platone è stata determinata da un avvenimento eminentemente politico, la condanna  a morte di Socrate", si può affermare che la filosofia platonica è nata dalla riflessione politica, ma per comprendere il pensiero filosofico che ne deriva è necessario distinguere la "riflessione sulla politica" dall'"attività politica". Platone nella Lettera VII del suo epistolario spiega come la rinuncia alla politica attiva segna la scelta per la filosofia, intesa come impegno "civile". La riflessione sulla politica diventa riflessione sul concetto di giustizia, e dalla riflessione su questo concetto sorge l'idea di filosofia intesa come processo di crescita dell'Uomo come membro organicamente appartenente al mondo. Per risolvere il problema della giustizia, ossia di ciò che è giusto non per noi relativamente ad un dato contesto, ma in sè, Platone deve prima affrontare e risolvere il più generale problema della conoscenza. Lo stesso Socrate aveva legato la soluzione del problema dell'agire a quella del conoscere, affermando che " la virtù è la scienza del bene" e che " nessuno fa il male sapendo che è il male, ma per ignoranza". Dunque basandosi su queste considerazioni Platone svilupperà la sua dottrina della conoscenza: la teoria delle idee.
Platone combatte contro l'opinione che sostiene che la ricerca della conoscenza sia impossibile sulla base di due assunti: 1. se non si conosce ciò che si cerca, qualora lo si sia trovato, non lo si riconoscerà come l'obiettivo da raggiungere; 2. se si conosce già quel che si cerca, la ricerca non ha senso. Il problema viene superato da Platone partendo dal presupposto che l'oggetto della ricerca è solo parzialmente sconosciuto all'uomo, il quale, dopo averlo contemplato prima della nascita, lo ha in qualche modo "dimenticato" nel fondo della sua anima. Tale dottrina si rifà alla credenza secondo cui quando il corpo muore l'anima, essendo immortale, trasmigra in un altro corpo. La meta del suo cercare è dunque un sapere già presente ma nascosto in lui, che la filosofia dovrà risvegliare con la reminiscenza o «anamnesi» (anàmnesis), concetto su cui Platone fonda il convincimento che l'apprendere è un ricordare. Platone sfrutta il mito della trasmigrazione dell’anima, fondendolo con l'assunto fondamentale che esistano delle “Idee”, che albergano nel mondo soprasensibile, aventi caratteristiche opposte agli enti fenomenici: sono incorruttibili, ingenerate, eterne, non soggette a mutamento.
L’IDEA PLATONICA E’  DUNQUE IL VERO OGGETTO DELLA CONOSCENZA.
Rappresenta non sono soltanto il fondamento della conoscenza della realtà, ossia la causa che ci permette di pensare il mondo, bensì costituisce anche il fondamento dell’essere, essendo il motivo che fa essere il mondo. Le Idee-Archetipi rappresentano l'eterno Vero a cui si contrappone la dimensione vana e transitoria dei fenomeni sensibili. Come è spiegato nel Fedro, dopo la morte le anime diventano simili a cocchi alati che procedono in schiere dietro ai carri degli dèi: in questa loro processione alcune riescono, più distintamente di altre, a scorgere le Idee che appaiono attraverso uno squarcio tra le nuvole, diaframma obbligato tra il mondo sensibile e quello soprasensibile. Quando le anime precipitano nei corpi, reincarnandosi, dimenticano la loro visione delle idee e, prigioniere dei sensi, sono portate a identificare la realtà col mondo sensibile. L'opera del filosofo, che ha saputo vedere le idee meglio degli altri, è quella di riportare all'anima la memoria del mondo delle idee dialogando con l'anima e persuadendola della verità.
ESSA PUO’ ESSERE TRADOTTA CON IL CONCETTO DI «ARCHETIPO».
La dottrina dell'apprendere come ricordare riconduce immediatamente alla cura dell'anima professata da Socrate: la conoscenza è, di fatto, un conoscere meglio se stessi, riportando alla luce dell'intelletto ciò che l'anima ha dimenticato nel momento della reincarnazione. Una conseguenza della reminiscenza è l'innatismo della conoscenza: tutto il sapere è già presente, in forma latente, nella nostra anima. A tal proposito i sensi svolgono una funzione importante poiché offrono lo spunto per aiutarci a ridestarla. L'anima possiede delle predisposizioni innate al conoscere che non sono derivate dai sensi, ma che a contatto con l'esperienza risvegliano il nostro sapere latente e ci fanno rammentare la verità. Quando conosce l'anima non deve fissare la sua attenzione sulle immagini percepite dai sensi, che possono trarre in inganno, ma sulla forma vera dell'oggetto, che giace al fondo di essa e deve essere fatta affiorare alla consapevolezza. La mente non deve subordinarsi ai sensi ma servirsi piuttosto di essi come docili strumenti.
Chi prende la realtà sensibile come l'unica realtà è simile a chi confonde l'oggetto con la sua immagine, ossia è ancora vittima dell'ignoranza. L'esperienza serve però solo da stimolo; la vera conoscenza deve essere fondata universalmente sulla facoltà della conoscenza intuitiva (nòesis) che ha come oggetto le “Idee”, e su di essa deve poggiare ogni tecnica particolare. L'errore contro cui Platone combatte consiste nel basare la conoscenza sulla sensazione. Al contrario, solo l'anima, e non i sensi, può conoscere l'aspetto "vero" di ogni realtà. La sensazione non è in grado di darci l'essere delle cose ma solo l'apparenza mutevole. Se tutta la conoscenza fosse costituita di sensazioni o derivasse da esse, le opinioni e i giudizi che formuliamo sulle cose sarebbero  sempre particolari non avrebbero certezza e stabilità che pretendiamo dalla scienza. Si giunge così alla distinzione tra opinione -doxa sofistica che è sempre empirica e particolare e scienza intesa come episteme-conoscenza universale. L'errore sta quindi nel basare la conoscenza sulla sensazione. La sensazione comprende due diversi aspetti: il processo fisiologico con cui l'organo di senso ci mette in contatto con le cose e il processo psicologico con cui il soggetto interpreta lo stimolo. Se vogliamo penetrare la natura del conoscere non è ai sensi che dobbiamo rivolgersi ma all'anima: indagando la nostra anima, costringendola a guardare dentro di sè con il logos e non fuori di sè attraverso i sensi, potremo trovare in essa la forma, l'aspetto vero e dimenticato delle cose. Di fatto, è impossibile recuperare completamente la conoscenza del mondo delle Idee. La conoscenza perfetta di queste è propria solo degli dèi, che le osservano sempre. La conoscenza umana, nella sua forma migliore, è sempre filo-sofia, ossia amore del sapere, inesausta ricerca della verità.
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